martedì 15 agosto 2023

La comunità senegalese scende in piazza: “Vogliono imporci una dittatura”

La prima tappa è stata Milano ma i Patrioti Africani del Senegal per il Lavoro, l'Etica e la Fratellanza (Pastef) sperano di potere raccontare anche in tante altre città in che modo stanno cercando di evitare un concreto rischio di dittatura. E qualunque rischio corra un Paese africano ci coinvolge direttamente, come ci dimostrano le vicende degli ultimi due anni, per le conseguenze sia economiche che di sicurezza per tutto l'Occidente.
Se in Senegal sta per nascere una crisi politica o economica, è meglio per noi saperlo in anticipo. Anche perché da quel Paese proviene un buon numero dei migranti presenti anche in Italia.
​Ma ecco la cronaca di quel che è successo tre giorni prima di ferragosto, in una Milano non del tutto svuotata di milanesi ma soprattutto strapiena di turisti.



MILANO 12.08.2023 Sono le 16:20 circa quando il Corteo della Libertà si raduna in via Palestro. Le persone arrivano un po’ alla volta, alla spicciolata. Poi si posizionano dietro agli striscioni, pronti a partire, e mi accorgo che sono tantissimi… non saprei dire quanti, ma sicuramente un bel numero per essere metà agosto.


Era importante esserci oggi – affermano gli organizzatori – per far conoscere al maggior numero possibile di persone la situazione del nostro Paese”.

A febbraio 2024, infatti, in Senegal ci saranno le elezioni e l’attuale presidente Macky Sall ha già annunciato di voler fare il terzo mandato, ma la Costituzione non glielo permette. Si pensa quindi che il suo progetto sia quello di far eleggere un presidente fantoccio e continuare a governare nell’ombra. Per fare questo, però, deve prima liberarsi del suo principale oppositore: il leader del PASTEF, Ousman Sonko.

È dal 2021 che contro di lui si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo – afferma un’attivista – prima hanno pagato una ragazza affinché lo accusasse di stupro e, dopo che sono caduti tutti i capi di imputazione contro di lui, sono riusciti a farlo condannare a due anni di reclusione per corruzione della gioventù, in modo da impedirgli di correre per la presidenza”.

Le proteste, tuttavia, non si limitano alle questioni di politica interna, durante il corteo si parla anche di lotta al neocolonialismo. 

La Francia continua a sfruttare le risorse del nostro paese – proseguono i militanti del PASTEF - impedendoci di costruire un’economia indipendente. Poi però l’occidente si lamenta se la gente emigra. Noi, che viviamo in Italia da diversi anni, abbiamo studiato e lavorato qui, saremmo felici di mettere a disposizione le competenze che abbiamo acquisito per far crescere il Senegal. Ma non possiamo farlo se c’è un governo che si appropria di tutti i beni pubblici. Per questo abbiamo bisogno di parlare a tutta la comunità internazionale, affinché qualcuno prenda a cuore il bisogno di libertà e di democrazia del nostro Paese”.


domenica 17 luglio 2022

Finalmente a Milano abbiamo visto dal vivo l’Orchestra Multietnica di Arezzo!


 


Sono stati nostri ospiti, in collegamento video, durante un incontro sull’integrazione. Adesso i musicisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo sono venuti a suonare a Milano, nello spazio Aria, ovvero l’Ex Macello, in via Cesare Lombroso 4. Grazie al Piccolo Teatro, l’ingresso era gratuito, dato che l'evento si colloca nell’ambito del progetto “Milano è viva nei quartieri”. Lo spettacolo  “Quando sarò capace di amare”, nasce da un’idea di Stefano Massini e riprende le canzoni di Giorgio Gaber, suonate dall’orchestra composta da musicisti provenienti da tutte le parti del mondo.

La pièce, che è andata in scena a Milano martedì 19 luglio, ha l’obiettivo di far rivivere storie, personaggi, vicende realmente accadute, incontri e memorie che lo scrittore non avrebbe mai intercettato, se non fossero state attratte dalla calamita delle canzoni del signor Gaber, dal momento che, come diceva Borges, "ogni verso evoca altri versi, ogni creazione semina altri raccolti, ogni opera si trasforma in un'ennesima opera".

Ciò che abbiamo visto sul palcoscenico è qualcosa che può accadere solo i racconti di Massini, definito da Repubblica “più popolare cantastorie del momento”, si scompongono e riprendono una nuova forma nella cornice delle canzoni della premiata ditta Gaber-Luporini.

 

Un momento dello spettacolo a Milano

All’interno di un cantiere poetico contagioso e spiazzante, il palcoscenico si popola di personaggi fra i più diversi e inattesi: geografie del nostro essere, cartografie dell’esistenza, traversate oceaniche in un mondo sbandato, danze di fuochi che illuminano la notte dei viandanti, raccontando ciò che tutti in fondo attendono, ossia il momento in cui saranno capaci di amare.

Massini sceglie di coinvolgere il pubblico in un unico grande omaggio a Gaber, fatto di echi e rimandi, che prendono vita a partire da brani come “I mostri che abbiamo dentro”, “La parola io”, “Non insegnate ai bambini”, “Se io sapessi” e molti altri.

 

A rendere ancora più speciale questo incontro, fortemente voluto e cercato dalla Fondazione Giorgio Gaber, si aggiungono i molteplici suoni e i colori dell’Orchestra multietnica di Arezzo, un celebre ensemble musicale, che riunisce artisti provenienti da ogni parte del mondo!

Il progetto è nato nel 2007 – ha raccontato Luca Roccia Baldini, ospite durante il nostro evento – da un corso di formazione per musicisti di base, aperto a tutte le generazioni e a tutti i Paesi. È un esperimento che abbiamo deciso di fare dopo che ad Arezzo c’era stata una grande migrazione. Così abbiamo provato a coinvolgere molti stranieri, anche di seconda generazione, che magari suonavano nel proprio Paese di origine o che avevano i genitori che suonavano. L’obiettivo era quello di creare integrazione attraverso la musica e il teatro. Abbiamo avuto una risposta immediata, soprattutto dalle comunità più numerose, come quella bengalese, quella albanese e quella rumena. Non abbiamo mai pensato che bastasse mettere insieme le persone, ma era necessario spingerle a conoscersi attraverso il linguaggio musicale, che significa pluralità, confronto, mescolanza, una condizione in cui nessuno perde le proprie radici, ma ciascuno insegna qualcosa agli altri, in un clima di reciproco arricchimento”.











domenica 10 luglio 2022

Amore e odio tra “fratelli”




I Paesi del Maghreb: Tunisia, Algeria, Egitto e Marocco, sono considerati da molti italiani, praticamente indistinguibili, in realtà le differenze tra le loro culture e tradizioni esistono. I cittadini di questi Stati, vivono con fastidio il fatto di essere spesso scambiati tra loro e ciò può essere motivo di contrasto.
Per provare a disinnescare questo meccanismo abbiamo fatto un esperimento, abbiamo chiesto ai relatori dell’incontro “Conosci i tuoi vicini di casa?” che rappresentavano informalmente i suddetti Paesi di trovare una caratteristica positiva di ciascuno degli altri tre Popoli. Queste sono le risposte che ci hanno dato.

Ouejane Mejri (Tunisia): gli algerini sono determinati, i marocchini onesti

Noi abbiamo alcuni modi di dire sugli altri paesi arabi, ad esempio riteniamo che l’Egitto sia la madre dei popoli e che tutta la cultura araba venga da lì.

Degli algerini diciamo che sono “severi”, ma in senso buono, per indicare la forza, il rigore e la determinazione di un Popolo che ha combattuto per secoli contro l’oppressore.

I marocchini sono quelli onesti, di cui ci si fida. Per decenni sono venuti a lavorare in Tunisia come guardiani e gli si dava facilmente la chiave di casa o della fabbrica, perché trasmettevano un grande senso di affidabilità.


Nadira Hairague (Algeria): in Egitto nasce la nostra cultura, in Tunisia ci si sente accolti

Anche noi pensiamo che l’Egitto sia la culla della cultura araba. Io ci sono stata diverse volte e ciò ammiro degli egiziani è la loro resilienza. Hanno avuto e continuano ad avere regimi che lasciano pochissimo spazio alla libertà individuale. Però Piazza Tahrir è lì a farci capire cos’è l’orgoglio nazionale. 

Quello che amo dei tunisini è ciò che spesso altri algerini criticano, ossia il loro modo di fare garbato e la loro parlata dolce, quasi effeminata. La loro economia è basata prevalentemente sul turismo e non potrebbe essere altrimenti, dato che sono cordiali, sorridenti e accolgono tutti senza un secondo fine. 

I marocchini nella loro semplicità sono di una bontà infinita. Algeria e Marocco non sono in buoni rapporti da sempre, ma i due Popoli sono fratelli e non hanno nulla a che fare con i conflitti decisi dai rispettivi Governi. Io sono andata in Marocco dicendo che ero algerina e ho incontrato persone che mi hanno abbracciato, piangendo e dicendo: “Perché dobbiamo farci la guerra?”


Medhat Moussa (Egitto): a volte il tifo sportivo crea malintesi


Io da piccolo ritenevo che gli algerini fossero molto duri e violenti, in realtà lo pensavo anche dei tunisini, ma questo perché assimilavo tutto il Popolo agli ultras che vedevo picchiarsi durante le partite di calcio. 

Poi sono andato in Tunisia in vacanza e ho cambiato completamente idea. Una cosa che ho notato è l’altissimo livello culturale delle persone. Anche il fruttivendolo, il tassista e la ragazza che fa le pulizie in albergo conoscono la storia, parlano di politica, ascoltano tanta musica e leggono molto. 

Gli algerini li conosco poco, ma l’idea, probabilmente sbagliata, che mi sono fatto della loro durezza è legata alla loro storia di lotta al colonialismo. Dei marocchini dico solo che sono buonissimi, del resto ho un debole per quel Paese.

Samira Abdelouaret (Marocco): dell’Algeria mi piace la musica, dell’Egitto la danza


Ho molti amici tunisini, soprattutto su Instagram, e posso dire che abbiamo una cultura abbastanza simile. Sono un popolo molto cordiale e accogliente. 

Dell’Algeria, invece, amo la musica e il suono della loro lingua. Ci sono alcuni contrasti tra i nostri Paesi a livello politico, soprattutto con il nuovo presidente che ha un nome che in “arabo marocchino” ha un suono volgarissimo. Questi aspetti, però, non riguardano la gente comune, anzi ci sono tantissimi algerini che scelgono di vivere e lavorare in Marocco. 

L’Egitto ha tradizioni che non si può fare a meno di adorare, io ho studiato danza del ventre ed ho una vera e propria passione per questo tipo di espressione artistica.

Ultimamente sto viaggiando molto negli altri paesi arabi, per far conoscere a mia figlia la cultura del Magreb e sono riuscita a far cambiare idea persino a mio marito che, da bergamasco, aveva molti pregiudizi sul Nord Africa. 





mercoledì 15 giugno 2022

Quanti giorni rossi ci sono sul calendario?


Quando, all’inizio di un nuovo anno, appendiamo il calendario, ci capita spesso di guardare in quale giorno della settimana cadono le date scritte in rosso, che coincidono con festività religiose o nazionali. Normalmente lo si fa per scoprire se ci sono dei “ponti” e, magari, programmare un week-end lungo in giro per il mondo.

Le feste, tuttavia, sono molto più che semplici giorni di vacanza e il fatto di conoscerle può aiutarci a capire qualcosa in più riguardo la storia e la geopolitica internazionale.


Lo scorso 11 dicembre, in occasione dell’incontro “Conosci i tuoi vicini di casa?” abbiamo chiesto ai nostri ospiti, rappresentanti informali di Tunisia, Algeria, Egitto e Marocco, quali fossero le principali celebrazioni, religiose, ma soprattutto laiche, che hanno luogo nei loro Paesi. Le risposte sono state per certi aspetti sorprendenti. 

Ouejane Mejri (Tunisia) la fine della dittatura è la data più importante


In Tunisia, fino al 2011,  la principale festa nazionale  è stata il 20 marzo, l’anniversario dell’Indipendenza. Negli ultimi 10 anni, invece, il suo posto è stato preso dal 14 gennaio, ossia il Giorno della Rivoluzione della Dignità e della Libertà, nota in Italia come “Primavera Araba”. È una ricorrenza molto importante perché coincide con la cacciata del dittatore, che non è più tornato. 



Nadira Hairague (Algeria) sono due i giorni che segnano la fine del colonialismo

In Algeria ci sono due date intoccabili il 1 novembre 1954, che è il giorno in cui, con la battaglia di Algeri, il popolo ha dichiarato guerra all’imperialismo francese. Il conflitto è durato sette anni, ha fatto un milione e mezzo di morti e si è concluso il 5 luglio del 1962, quando Charles De Gaulle ha dichiarato l’indipendenza dell’Algeria. Queste due celebrazioni sono assolutamente sentite in tutto il Paese, indipendentemente da quale sia il Governo in carica. Anche per le nuove generazioni la storia algerina è motivo di orgoglio, dal momento che sono pochi gli Stati che si sono liberati dal dominio coloniale con le armi.  

Medhat Moussa (Egitto): Governo che cambia, festa che trovi


Prima del 2013, in Egitto si celebrava il 6 ottobre, giorno dell’annessione della sponda orientale del Canale di Suez al territorio nazionale. Oggi, invece, la festa nazionale è diventata il 30 giugno che è la data in cui i Fratelli Mussulmani hanno perso il governo del Paese. In realtà è chi sta a capo del Paese che decide cosa si festeggia...


Samira Abdelouaret (Marocco): in un Paese stabile si celebra Allah

Il Marocco ha un ampio calendario di feste religiose, dal momento un è un paese che è sempre stato sicuro a livello politico. Oltre a quelle, si celebra anche il 6 novembre, giorno nel quale si svolge un marcia pacifica, indetta dal Re Assan II, per recuperare il deserto del Sahara. Infine si festeggia anche il 30 luglio, l’anniversario della salita al trono dell’attuale Re, un sovrano illuminato e amatissimo dalla popolazione. 

mercoledì 27 aprile 2022

Ripartono in Lombardia i corsi per tutori di “minori stranieri non accompagnati”. Grazie a loro, i migranti più giovani diventano veri cittadini italiani.

 Hanno 16 o 17 anni, vengono da diverse parti del mondo e sono tanti! La legge Zampa li considera soggetti fragili da accogliere e integrare. All’arrivo vengono collocati in comunità dedicate e presi in carico dai servizi sociali. Successivamente per alcuni di loro viene nominato un tutore volontario che, pur non essendo un genitore né adottivo né affidatario, ha la responsabilità legale. Oggi i tutori hanno deciso di associarsi per gestire insieme problematiche comuni e raccontare il lavoro che svolgono

DI ADRIANA FENZI



Se è vero che non tutto il male viene per nuocere, lo scoppio della guerra in Ucraina, avvenuto lo scorso 24 febbraio, ha posto i riflettori sul problema dei minori stranieri non accompagnati e sull’importanza dei tutori volontari, una figura poco conosciuta dai non addetti ai lavori. Ne ho parlato con Chiara Baratti, presidente associazione Tutori Lombardia, e Angelica Valsecchi, membro del direttivo e operativa sulle province di Bergamo, Cremona e Mantova.

Chi sono oggi i minori stranieri non accompagnati? Come arrivano in Italia e da dove?

Chiara Baratti: Un minore straniero non accompagnato è un ragazzo che non ha ancora 18 anni e che lascia il suo Paese senza famiglia. Arrivano generalmente da Lampedusa o dalla rotta balcanica, dopo aver fatto viaggi molto lunghi. Alcuni attraversano l’Africa, altri arrivano dal Bangladesh, dall’Afghanistan o dal Pakistan, altri ancora dall’Albania o dal Kosovo. Hanno un’età che va, in media, dai 16 anni ai 17 e mezzo, a volte sono appena in tempo per entrare come minori. Questo avviene perché la legislazione europea e quella italiana in particolare (Legge Zampa n. 47/2017) considera i minorenni come assolutamente da non espellere, cosa che potrebbe invece accadere a chi ha già raggiunto la maggiore età. Arrivando così giovani hanno un grande vantaggio, ossia la possibilità di formarsi anche come cittadini e lavoratori. Questo è il motivo per cui secondo noi dell’associazione è importantissimo accoglierli e facilitarne l’inserimento nel tessuto sociale e produttivo, cosa che sarebbe molto più difficile con immigrati adulti che devono subito andare a lavorare.

Nello specifico quali sono i compiti di un tutore?

Angelica Valsecchi: Non è facile dare una risposta univoca a questa domanda. Il tutore non è l’unico ad occuparsi del minore, ma deve coordinarsi con gli educatori della comunità ospitante e i servizi sociali. Insieme formano una rete attorno al minore che ha l’obiettivo di tutelarne il supremo interesse. La figura del tutore inizialmente non è stata benvista né dalle comunità né dagli assistenti sociali, perché lo consideravano una sorta di detective che doveva controllare come svolgevano il loro lavoro. Oggi invece si sa che è un valore aggiunto, che può dare un importante contributo nell’accompagnamento del ragazzo nel suo percorso di integrazione, fino alla maggiore età. Le mansioni che un tutore si trova a svolgere variano in base ai territori e dall’organizzazione delle comunità. Di solito si pensa che sia il tutore a doversi occupare della richiesta dei documenti e del permesso di soggiorno. Invece a volte lo fanno le comunità stesse, dato che hanno un’esperienza consolidata in questo tipo di operazioni e sono in grado di velocizzarne le pratiche. Restano comunque in capo al tutore altre responsabilità nei confronti del minore, come preoccuparsi del percorso scolastico che segue, verificare che si sia attivato il medico di base e gestire una serie di altre incombenze che regolano la vita del minore all’interno della struttura. Poi c’è l’aspetto relazionale, che è da costruire gradualmente, anche perché il minore a volte fa fatica a capire chi è il tutore volontario. Questo accade perché spesso noi veniamo nominati dopo alcuni mesi dal giorno in cui il ragazzo viene collocato all’interno della struttura. Lui magari crea un rapporto di fiducia prima con l’educatore di riferimento e con l’assistente sociale e noi arriviamo dopo...



L’Ucraina è un paese con un’altissima percentuale di orfani. Questo sembra aver gettato nel panico il Tribunale dei Minori che deve nominare molti tutori per i ragazzi ucraini che arrivano come profughi. Come si sta gestendo l’emergenza?

Chiara Baratti: Il problema è che non si hanno notizie di prima mano. Si leggono informazioni che, a seconda dei giornali su cui sono scritte, pendono politicamente dall’una o dall’altra parte. Una cosa è certa: i tutori volontari, inseriti nell’albo con la legge del 2017 e formati a partire dal 2018, non sarebbero sufficienti a far fronte agli arrivi dall’Ucraina. Perciò sono stati nominati gli avvocati, che non sono tutori, ma hanno la possibilità di fare le pratiche legali. Dopodiché come stiano veramente le cose io non lo so e non penso nemmeno che sia il caso di parlare degli ucraini più di tanto, perché non ritengo giusto puntare i riflettori solo su di loro.

Quello che è accaduto, ed è sicuramente positivo, è che l’arrivo degli ucraini ha sollevato il problema dei minori stranieri e della necessità di avere più tutori volontari. Finalmente si comincia a parlare di questa fascia di immigrazione, che già oggi è importante e in futuro tenderà a crescere perché aumenterà la fame nel mondo. L’Ucraina e la Russia, infatti, erano i maggiori produttori di grano e di fertilizzanti. La loro uscita dal mercato comporterà quindi problemi economici e di accesso alle risorse ad alcuni Paesi, come quelli del Maghreb. L’Egitto ad esempio non produce grano per il proprio fabbisogno, ma lo importava dall’Ucraina. La situazione è destinata a peggiorare rapidamente e l’arrivo di minori stranieri potrebbe aumentare, quindi ci dobbiamo attrezzare. Per fortuna in Lombardia i corsi di formazione per i nuovi tutori, che nell’ultimo anno e mezzo erano stati bloccati, dovrebbero ripartire, speriamo a breve, grazie a un nuovo bando del Garante regionale.

Per quanto riguarda gli immigrati adulti abbiamo già sentito discorsi un po’ razzisti che parlavano di profughi veri e finti. C’è il pericolo che questa discriminazione si abbatta anche sui minori?

Angelica Valsecchi: Sicuramente il rischio c’è. Già dalle prime battute si è parlato di minori stranieri non accompagnati con percorsi diversi. In ogni caso concordo con Chiara, dato che il conflitto ha di fatto messo il riflettore sul fenomeno Msna e tutori volontari, noi vogliamo sfruttare al massimo questa situazione, per far conoscere meglio il nostro lavoro e spiegarne l’importanza. Sperando che nessuno pensi di poter diventare tutore volontario solo di minori cristiani e con la pelle bianca!



Per maggiori informazioni

https://www.tutorilombardia.it

https://www.garanteinfanzia.regione.lombardia.it/wps/portal/site/garante-infanzia-e-adolescenza/DettaglioRedazionale/tutori-volontari-dei-minori-stranieri-non-accompagnati-msna/ 

venerdì 15 aprile 2022

L’integrazione a Milano è iniziata dalle donne

Il ricordo-rivelazione è emerso durante “Continenti milanesi” un incontro, dal tono leggero, che ha visto il confronto tra quattro comunità straniere, con la partecipazione dell’amministrazione comunale.

Sicuramente l’immigrazione non era solo di donne, però era con le donne che si riusciva a iniziare una relazione, perché seguivano i figli a scuola, la parte sanitaria e la ricerca di informazioni sul funzionamento della città”.

Con queste parole ha esordito Diana De Marchi, presidente della commissione Pari opportunità e Diritti civili del Comune di Milano, che ha raccontato la situazione nel suo quartiere, il quadrilatero di San Siro, ai tempi delle prime migrazioni. 



Ricordo diverse iniziative fatte per portare queste donne verso l’autonomia. Come al solito si partiva dalla cucina, ma c’erano anche i laboratori sartoriali e tante attività pratiche che si potessero condividere – ha ricordato la consigliera - Lo scopo non era solo quello di imparare qualcosa di utile, ma anche di stare insieme e parlarsi. C'era bisogno di creare un rapporto. È una cosa a cui si è prestata molta attenzione all’inizio, poi si è un po' persa. Oggi la situazione è completamente diversa, perché queste persone oggi non sono più nuove nei nostri quartieri, ma al tempo stesso non riescono ancora a sentirsi pienamente cittadini e cittadine, quindi vivono una sorta di spaesamento. Da qui nasce la necessità fortissima di confrontarsi su un nuovo modo di stare nella nostra città e nel nostro Paese”.

A sostenere l’idea che Milano, città storicamente accogliente, debba oggi trovare nuovi modi per lavorare sull’inclusione è anche Filippo Barberis, capogruppo Pd in Consiglio Comunale: “Milano è una delle città più ricche di comunità straniere, ce ne sono più di 150. Ciò rappresenta una ricchezza per l'Amministrazione comunale, sia per quanto riguarda le relazioni con i Paesi di origine, che da un punto di vista culturale. Tutti gli studi recenti sullo sviluppo delle città hanno dimostrato, infatti, come la diversità culturale, che convive all'interno degli ecosistemi urbani, sia un elemento essenziale per l'innovazione e la crescita economica”.


Abbiamo poi una serie di infrastrutture legate al mondo dei cittadini con origine straniera – ha proseguito Barberis – Da un lato c'è la parte istituzionale dei Consolati e quella delle associazioni, che sono tantissime. Quando abbiamo costruito il Forum Città-mondo l'indirizzario traguardava le 700 associazioni e sicuramente ne mancava qualcuna. Ci sono poi i rapporti economici che sono rappresentati dalle Camere di commercio internazionali e infine le chiese. Quindi il punto sul quale con l’Amministrazione abbiamo ragionato è proprio capire come valorizzare ulteriormente le relazioni tra Milano e il resto del mondo. Da un lato stiamo cercando di fare è una ricognizione dei servizi amministrativi che hanno un impatto sui cittadini con origine straniera: dal lavoro alla formazione, dalla cultura alle pratiche burocratiche legate alla cittadinanza e ai permessi. Dove anche quando il Comune non ha una responsabilità diretta può essere un con la Prefettura, la Questura e il ministero degli Interni. Dall’altro bisogna dare forma a un organo consultivo dove le comunità possano parlarsi tra loro ed avere un costante punto di comunicazione con le istituzioni municipali e comunali. Inizieremo proprio dalle comunità presenti sul Municipio 2, che è il più multietnico della città, dopodiché questo dovrà essere replicato su scala comunale”.





lunedì 11 aprile 2022

Un passaporto falso mette in trappola i minori del Bangladesh

 Nella speranza di un futuro migliore, lasciano il Paese da ragazzini con un passaporto contraffatto, che i trafficanti forniscono loro con la complicità delle autorità locali, ma al diciottesimo compleanno tutti i nodi vengono al pettine...

DI ADRIANA FENZI




È una fresca mattina di aprile e una cinquantina di ragazzi originari del Bangladesh, tutti giovanissimi, stanno protestando sotto il loro consolato in via Giambellino 7, alla periferia ovest di Milano.

Il loro leader, un ragazzo di pochi anni in più degli altri (la media è sui 18/19), che parla perfettamente italiano, racconta di aver scritto una lettera al console affinché dia loro una possibilità di costruirsi una vita in Italia, lasciandosi finalmente alle spalle il lungo e difficile viaggio che li ha condotti fino a qui.

A determinare la loro condizione di precarietà sono organizzazioni criminali che li convincono, quando sono poco più che bambini, a lasciare il proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore. Per passare la frontiera forniscono loro un passaporto falso, ottenuto con la complicità delle autorità corrotte, in cui risultano già maggiorenni, quando in realtà sono ben lontani dall’esserlo.

Il documento contraffatto viene spesso sottratto ai ragazzi già durante il viaggio o richiesto come merce di scambio. Nel caso in cui invece arrivino in Europa ancora con il passaporto in mano, viene detto loro di buttarlo via, per evitare problemi.

Una volta entrati nel circuito di accoglienza, i giovani vengono sottoposti a perizia medico-legale per l’accertamento dell’età e riconosciuti come minorenni. Il tribunale dei minori il prende quindi sotto tutela, dando loro la possibilità di essere accolti in una comunità per minori stranieri non accompagnati e inseriti in un percorso verso l’autonomia le l’integrazione. Tutto bene quel che finisce bene dunque? Purtroppo no, perché il problema è solo rimandato al loro diciottesimo compleanno.

Questo è infatti il momento in cui, per emettere un permesso di soggiorno “da adulti” per motivi di studio o lavoro, le autorità italiane vogliono dai ragazzi un passaporto valido, in cui sia indicata chiaramente la loro data di nascita. A loro non resta che prendere un appuntamento in consolato, o presso l’ambasciata di Roma, per richiedere un documento con i dati anagrafici corretti, ossia quelli che emergono dal certificato di nascita e qui iniziano i problemi… I diplomatici bengalesi, che fino a qualche anno fa erano disponibili a rettificare i dati ed emettere un nuovo passaporto, ora si rifiutano di farlo, impedendo di fatto ai ragazzi di restare regolarmente in Italia.

Le istituzioni del nostro Paese sono quasi completamente all’oscuro del problema, dal momento che i ragazzi, temendo di non essere creduti o, peggio, rimpatriati, decidono spesso di non denunciare. Per questo è più che mai urgente prendere coscienza della situazione, che vede i ragazzi vittime di trafficanti senza scrupoli.